La filastrocca che segue veniva recitata dai ragazzi fino alla fine degli anni ’50 ed, in modo scherzoso, rievoca un mondo contadino ormai completamente scomparso
Vi si legge l’isolamento dei protagonisti, la loro estraneità a tutte le forme evolute di cultura materiale e tecnologia. E’ una valida metafora del declino che tale mondo ha conosciuto nei decenni successivi.
Ce1 stéva ‘na vòta ‘n viécchie é ‘na vècchia arrèt a ‘n spècchie resecàvene fàve vècchie. Deciétte damménne ùne é me schiaffiérne ‘n càuce ‘n’cùre deciétte damménne quàtte é me ne gliegniérne ‘n bèlle piàtte. |
C’era una volta un vecchio ed una vecchia dietro ad uno specchio rosicchiavano fave vecchie. Dissi “dammene una” e mi diedero un calcio nel sedere dissi “dammene quattro” e me ne riempirono un bel piatto. |
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Nella nostra arbitraria trascrizione della pronuncia del dialetto laurentino, la “e” si pronuncia solo se accentata (“é” chiusa come nella parola “perché” oppure “è” aperta come nella parola “cioè”) e la “s” seguita da consonante si pronuncia come la coppia di consonanti “sc” nella parola italiana “scena”.
Caro Gaetano
Direi piuttosto che si rileva una sudditanza verso i potenti. Non si accoglie la richiesta di una fava fatta probabilmente da un debole che ha timore di chiedere troppo e si accoglie quella di quattro fave delineando il richiedente una persona autoritaria. Hai ragione del declino considerato che ancora oggi i potenti si sentono autorizzati a compiere atti sicuramente discutibili, intolleranti di qualsiasi giudizio.
Ciao.
Arturo Marezzi