La séta e la farina

Macina
La vrénna1, cioè la crusca, si otteneva cernènne la farina, ossia facendola passare attraverso il vaglio, chiamato in dialetto séta2

Dalla farina setacciata si ottiene la crusca (il residuo più grosso che resta nel vaglio) e poi il “fiore”, cioè la farina che ha attraversato le maglie del vaglio.

Quando si entrava in un negozio si chiedeva il “fiore” indicando il tipo: 0 (zero) oppure 00 (doppio zero), quest’ultimo era costituito da farina più fine e bianca.

A San Lorenzo Maggiore, durante la guerra, vi erano quattro mulini, tutti gestiti dai membri di una stessa famiglia. Erano tutti posizionati lungo il corso del torrente Ianara. Ancora oggi è possibile vederne i ruderi. Utilizzavano l’acqua del torrente per far girare le possenti macine.

Vi è una strada, via Molino o Molini, che nella toponomastica ricorda il ruolo che ha assolto per diversi decenni, cioè di percorso attraverso il quale avveniva il transito per recarsi verso i mulini.

Durante la guerra, di sera, si apponevano i sigilli ai mulini e venivano tolti la mattina presto poiché vi era un limite alla quantità di grano che poteva essere macinato.

Periodicamente poi, degli scalpellini dovevano rendere nuovamente ruvide le superfici delle mole di pietra perché, col loro lento girare, si consumavano diventando lisce e quindi non più adeguate per assolvere al loro compito di frantumare i chicchi di cereali.

Per macinare i cereali si usavano più spesso due macine in pietra sovrapposte. La macina superiore era forata e girava su quella inferiore. I chicchi di cereali cadevano nel foro della macina superiore e venivano frantumati.

Ringraziamo Romeo Ferrara per le preziose informazioni che ci ha fornito.

La foto riportata in alto è stata scattata all’incrocio tra Castelvenere e Guardia Sanframondi.

 


1 Nella nostra arbitraria trascrizione della pronuncia del dialetto laurentino, la “e” si pronuncia solo se accentata (“é” chiusa come nella parola “perché” oppure “è” aperta come nella parola cioè).
2 La séta veniva usata per la coscinomanzia, ossia la pratica della divinazione attraverso l’uso di un setaccio. Si infilava un paio di forbici nel bordo di legno del setaccio in modo che puntassero verso il centro dell’oggetto, poi reggendo le forbici con i due indici (posizionati sotto i cerchi destinati ad accogliere le dita), si poneva alla séta un quesito con questa formula: “Séta, setélla, dimme la veretà, …” e quindi veniva formulata la domanda. Se la seta ruotava verso destra voleva dire “sì”, se invece ruotava verso sinistra voleva dire di “no”.

 

One Comment

  1. Qua vicino nell’appennino forlivese esiste un vecchio mulino ad acqua ancora funzionante (a scopo didattico). Se volete potete guardare questo video che ho fatto.

    Ciao

Lascia un commento